Se queste videolezioni riescono a stressare
persino me, non posso neanche immaginare cosa possano provocare nei miei
studenti! Ma “stressare” non è la parola esatta. Perché, in realtà, voglio
intendere qualcosa di sottilmente diverso: non mi piace fare-cose in modi non coerenti con le finalità per cui quel fare-cose aveva una sua ragione di
esistere. La scuola, per me, è un’esperienza di vita entusiasmante. Per i miei
alunni è un’esperienza di comunicazione delirante. Nel complesso, potremmo
definirla un “entusiasmante delirio”.
Io non so esattamente come possa accadere
che tutti abbiano qualcosa da raccontare a tutti contemporaneamente. Né so
perché tutti abbiano il desiderio di parlare continuamente. E non conosco
neanche il motivo per il quale, anche quando un’altra attività è in fase di
svolgimento, i ragazzi continuino a dirsi-cose, scambiandosi bigliettini sopra
o sotto il banco…
Praticamente non so nulla, ma so che tutto
questo mi piace. Poi, tra una chiacchiera e l’altra, in modo del tutto casuale
e residuale, riesco persino ad inserire la mia presenza in quello che abbiamo
definito come “entusiasmante delirio”. Non si fermano mai. Ed io neanche.
Mi fanno
sorridere perché passano dal “maestra” dei primi tre mesi di prima media, al “prooof”
della terza. Mi fanno ridere quando passano dagli applausi regolari della prima
media, all’applauso irregolare (un solo battito di mani, seguito da una
fragorosa risata) della terza. Mi divertono quando passano dalla merenda
consumata usando un ordinato tovagliolo dispiegato sul banco in prima, ad una
merenda ingurgitata in fretta tutti seduti per terra - oltre l’ultima fila di
banchi - in terza. Hanno troppe cose da raccontare e tutto da raccontarsi.
La scuola, quella dell’entusiasmante
delirio, dal 5 marzo è differente.
Molto altro. Praticamente tutto ciò che
resta. Nel complesso, potremmo definire La scuola come un “tutt’altro”.
Non sento racconti sussurrati. Non ascolto
storie raccontate. Non osservo ragazzi a frotte. Non vedo sorrisi: né nascosti
né palesi. Non spalanco finestre ad oltranza. Non ascolto improbabili dimenticanze.
Non vedo le stelle ogni volta che il mio ginocchio urta contro lo spigolo della
vetusta cattedra.
E, soprattutto, non vedo biglietti volare.
Perché, dal 5 marzo, la scuola è tutt’altro.
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