giovedì 7 maggio 2020

Non vedo biglietti volare.

Se queste videolezioni riescono a stressare persino me, non posso neanche immaginare cosa possano provocare nei miei studenti! Ma “stressare” non è la parola esatta. Perché, in realtà, voglio intendere qualcosa di sottilmente diverso: non mi piace fare-cose in modi non coerenti con le finalità per cui quel fare-cose aveva una sua ragione di esistere. La scuola, per me, è un’esperienza di vita entusiasmante. Per i miei alunni è un’esperienza di comunicazione delirante. Nel complesso, potremmo definirla un “entusiasmante delirio”.

Io non so esattamente come possa accadere che tutti abbiano qualcosa da raccontare a tutti contemporaneamente. Né so perché tutti abbiano il desiderio di parlare continuamente. E non conosco neanche il motivo per il quale, anche quando un’altra attività è in fase di svolgimento, i ragazzi continuino a dirsi-cose, scambiandosi bigliettini sopra o sotto il banco…


Praticamente non so nulla, ma so che tutto questo mi piace. Poi, tra una chiacchiera e l’altra, in modo del tutto casuale e residuale, riesco persino ad inserire la mia presenza in quello che abbiamo definito come “entusiasmante delirio”. Non si fermano mai. Ed io neanche. 

Mi fanno sorridere perché passano dal “maestra” dei primi tre mesi di prima media, al “prooof” della terza. Mi fanno ridere quando passano dagli applausi regolari della prima media, all’applauso irregolare (un solo battito di mani, seguito da una fragorosa risata) della terza. Mi divertono quando passano dalla merenda consumata usando un ordinato tovagliolo dispiegato sul banco in prima, ad una merenda ingurgitata in fretta tutti seduti per terra - oltre l’ultima fila di banchi - in terza. Hanno troppe cose da raccontare e tutto da raccontarsi.

La scuola, quella dell’entusiasmante delirio, dal 5 marzo è differente.

Molto altro. Praticamente tutto ciò che resta. Nel complesso, potremmo definire La scuola come un “tutt’altro”.
Non sento racconti sussurrati. Non ascolto storie raccontate. Non osservo ragazzi a frotte. Non vedo sorrisi: né nascosti né palesi. Non spalanco finestre ad oltranza. Non ascolto improbabili dimenticanze. Non vedo le stelle ogni volta che il mio ginocchio urta contro lo spigolo della vetusta cattedra.

E, soprattutto, non vedo biglietti volare. Perché, dal 5 marzo, la scuola è tutt’altro.

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