Secondo
il ministro Bussetti gli esiti delle prove INVALSI “non dipendono da differenze
territoriali, ma dalla didattica”.
Quindi?
Il
ministro, imbarazzato e tossicchiante, vorrebbe lasciar passare il messaggio
secondo il quale esista una didattica del test standardizzato. Una sorta di “teaching
to the test”, ovvero la focalizzazione dell’attività di insegnamento sul
superamento dei test.
E’ evidente:
tra un colpetto di tosse e l’altro ha lasciato trasparire tutta la sua
inadeguatezza rispetto al ruolo ricoperto perché non ha idea di cosa sia la
didattica. E non starò certamente qui a spiegarlo per due motivi: per lui
sarebbe fatica sprecata e per chi mi legge sarebbe scontato.
Il
ministro inadeguato:
-
non sa che la Finlandia, che ha il punteggio più alto del mondo nell’Education
Index, non usa alcuna forma di valutazione standardizzata;
-
non sa che persino l’INVALSI ha ammesso, nel 2018, che il sistema del testing serve a
poco o a nulla, infatti le prove standardizzate non possono misurare tutto;
- non
sa che, dopo lustri di test standardizzati, l’America sta progressivamente spostando
l’attenzione sulla rivalutazione delle conoscenze;
-
non sa che nel 2006 il Parlamento europeo ha raccomandato di valutare le
competenze riguardanti lo spirito di imprenditorialità nei bambini di 10 anni;
- non
sa che le prove INVALSI non hanno alcun fondamento docimologico;
- non
sa che nessuna persona, sia essa studente o docente, può essere valutata sulla
base di uno scatto fotografico.
Perché
l’INVALSI questo è: una sorta di selfie con sfondo e soggetto variabili.
Quindi
un ministro poco convinto e ancor meno convincente, tra un colpo di tosse ed un’imbarazzante
deglutizione a vuoto, tra uno sguardo pateticamente abbassato ed una
inopportuna reiterazione di avverbi, ha
ancora una volta fornito indicazioni futuribili inerenti il miglioramento della
didattica dei docenti italiani. Avrebbe, addirittura, già impostato un lavoro
(del quale, in verità, non vi è traccia) di cui si vedranno i risultati nei
prossimi anni…
E
dunque, emergono prorompenti le notizie sconosciute al ministro:
- non ha
avviato alcun lavoro finalizzato al “miglioramento della didattica”;
- gli insegnanti
italiani - da nord a sud, isole comprese - hanno superato regolari concorsi,
senza SE e senza MA, senza TAR e senza CdS;
- il MIUR
ha avviato, già dallo scorso anno e forse a sua insaputa, una campagna di
abbattimento delle ripetenze che sarebbe più corretto chiamare “campagna di
obbligo promozionale” (nel 2018 per il primo ciclo e nel 2019 per il biennio
della secondaria di II grado): sarebbe forse questo il lavoro avviato?
Pertanto,
tutto ciò considerato, pur volendo perdonare il tentativo di spiegazione di un gap
diventato gappa che si amplificherebbe, a suo dire, dalla scuola
primaria alla secondaria mi parrebbe sconsiderato perdonare l’imbarazzante
inadeguatezza del tossire di un ministro con competenze scarse destinate a
produrre inconcludenti risultati.
Gentilmente
dovrebbe dimettersi e, altrettanto gentilmente, dovrebbe lasciarci lavorare!
Bianca
Maria Cartella